30 anni fà la conquista della Luna
Massimiliano Mannucci & Nico Montigiani
Era il 4 Ottobre 1957 e il satellite sovietico Sputnik 1, una sfera metallica di soli 58 centimetri di diametro entrava in orbita intorno alla terra. Al giorno d’oggi, abituati come siamo a veder rientrare dallo spazio lo Shuttle come se fosse un areo ordinario, pensare a quella sfera di mezzo metro ci disegna sul volto un leggero sorriso, ma tale evento ha segnato la storia dell’astronautica per tutti gli anni a venire. Ciò che sembrava essere solo argomento da utopici trattati di missilistica che ormai circolavano nel mondo accademico da ben prima della seconda guerra mondiale era improvvisamente diventato realtà. Un razzo vettore era riuscito a depositare in orbita intorno alla Terra un manufatto umano capace di compiere rilevamenti. Se da una parte tutto ciò lo si può leggere come un qualcosa di estremamente positivo, dall’altro questa era l’indiscutibile dimostrazione che una delle due potenze militari del mondo, in tal caso l’Unione Sovietica, possedeva una tecnologia palesemente superiore a quella degli Stati Uniti, motivo questo di potenziali instabilità politiche. Ma l’allora presidente americano Eisenhower sottovalutò quella che era l’ormai avviata corsa allo spazio e ciò gli valse le critiche del Senatore e futuro Presidente Lyndon Jonson il quale faceva notare che “Primi nello spazio significa primi in tutto”. Nel frattempo l’Unione Sovietica dominava le cronache con un susseguirsi di record. Il 3 Novenbre del 1957 lancia lo Sputnik 2 con a bordo un animale: la cagnetta Laika. Si trattava del primo essere vivente nello spazio, dove però rimase poiché il suo viaggio era previsto senza ritorno. Nell’Agosto 1960 furono invece lanciate le cagnette Belka e Strelka, rientrate poi sane e salve a terra. L’apoteosi fu infine raggiunta il 12 Aprile del 1961 con il lancio e il recupero dell’Astronauta Yuri Gagarin a bordo della navetta Vostok 1 dopo un orbita di 89 minuti. Si trattava del primo uomo nello spazio.
Nonostante gli sforzi che gli USA stavano compiendo, l’URSS rimaneva davanti nella corsa allo spazio ed è in questo panorama che si venne a trovare il novello presidente John F. Kennedy al momento della sua elezione. Conscio dell’importanza che il dominio dello spazio avrebbe avuto negli anni a venire all’interno degli equilibri socio-politici e militari fra le due superpotenze, l’amministrazione americana si trovava nella condizione di dover colmare il gap tecnologico e possibilmente sopravanzarlo dando dimostrazione dell’avvenuto sorpasso portando a termine un’impresa di portata storica. Il 25 Maggio 1961 divenne così una data fondamentale nella corsa alla conquista dello spazio poiché il Presidente John F. Kennedy, durante una conferenza, dichiarò quanto segue:
”Io credo che questa nazione dovrebbe impegnarsi per raggiungere l’obiettivo, prima della fine di questo decennio, di far atterrare un uomo sulla Luna e di farlo ritornare sano e salvo sulla Terra.”
Fu da questa data che le attività della NASA (National Aeronautics and Space Administration), agenzia nata nel 1958 per opera del Presidente Lyndon Jonson, si intensificarono procedendo verso direzioni ben precise, come gli studi sul comportamento dell’uomo in assenza di gravità, sulle operazioni extraveicolari e sullo sviluppo di tecnologie atte a portare l’uomo sulla Luna, inclusi razzi vettori e sistemi di attracco in orbita.
A tale fine furono attivati in contemporanea più programmi.
Lo sviluppo del vettore Saturno fu affidato a Von Braun, mentre le prove operative dei nuovi componenti che avrebbero poi formato la navetta ospitante i tre astronauti furono affidate al programma Gemini.
Programma GEMINI
Il progetto Gemini constò di ben 12 lanci: dieci portati a termine con equipaggio umano e due totalmente automatiche. L’obiettivo di tale programma era il seguente:
· Esporre l’uomo e le apparecchiature a missioni della durata di due settimane e valutare gli effetti dovuti all’assenza di gravità.
· Testare le operazioni di rendezvous e di aggancio con veicoli orbitanti usando il sistema di propulsione del veicolo stesso.
· Perfezionare il metodo di rientro nell’atmosfera.
Tutte le missioni furono gestite dal “Manned Spacecraft Center” di Houston, Texas, sotto la direzione del “Manned Space Flight, NASA Head Quarters, Washington D.C.”
Le missioni furono un successo poiché al termine del programma tutti gli obiettivi preposti erano stati raggiunti e per di più con totale completamento di tutti i test che erano stati assegnati alle singole missioni.
Dopo i primi 2 lanci effettuati senza equipaggio a bordo ed il primo dei quali nel 1962, la prima missione abitata fu la Gemini III lanciata nel 1965. Nonostante la brevità della stessa (rimase in orbita solo 5 ore) i piloti ebbero il tempo per testare la funzionalità della capsula e di effettuare alcune manovre di variazione dell’orbita. I risultati ottenuti da questa missione permisero alle successive di collaudare nuove procedure e di sperimentare finalmente le passeggiate spaziali. La Gemini IV infatti prevedeva la prima uscita in tuta pressurizzata di tutta la storia umana. L’astronauta White galleggio per circa 21 minuti nello spazio siderale muovendosi grazie ad una pistola a gas compresso. Un guasto al computer di bordo costrinse gli astronauti ad un rientro anticipato ma tutto comunque si concluse positivamente. La Gemini V, nonostante i molti problemi che l’afflissero fra cui l’impossibilità di testare i meccanismi di docking (aggancio in orbita fra due capsule), rimase per 8 giorni in orbita, permettendo così di studiare per la prima volta le potenziali conseguenze della lunga permanenza in assenza di gravità. L’estrema necessità di verificare la correttezza delle manovre di docking spinsero la NASA a lanciare contemporaneamente due capsule Gemini, per l’esattezza Gemini VI e VII. Fu così che nel Dicembre 1965 le due navicelle, inizialmente distanti 1800 chilometri, una volta poste sulla medesima orbita ridussero la loro distanza a soli 30 centimetri in circa 7 ore. Il randezvous durò 5 ore e in questo arco di tempo le 2 capsule non si allontanarono mai l’una dall’altra oltre i 90 cm!
Ormai tutto sembrava pronto per sperimentare l’aggancio fisico fra 2 diverse navicelle, quindi la successiva missione avrebbe avuto proprio il compito di sperimentare finalmente una manovra di docking. La Gemini VIII avrebbe dovuto agganciarsi ad uno stadio opportunamente modificato di un missile Agena precedentemente lanciato. In questa occasione però fu rischiato il disastro. Mentre le manovre procedevano regolarmente la navicella cominciò a ruotare vorticosamente su se stessa. Nonostante diversi tentativi manuali di ristabilire l’assetto, l’inconveniente costrinse la navetta ad un rientro anticipato. Solo successivamente si capì che l’incidente era avvenuto non per un errore nella manovra di docking bensì perché un razzo stabilizzatore non si era spento nonostante il comando gli fosse stato impartito correttamente. A bordo della sfortunata Gemini VIII, accanto all’astronauta David Scott, prendeva posto un certo Neil Armstrong, che di lì a 3 anni avrebbe scritto il suo nome su tutti i libri di storia. La successiva Gemini IX fu anch’essa perseguitata dagli insuccessi. Fallita la manovra di docking con lo stadio di un razzo Agena a causa di un pezzo metallico che aveva impedito il distacco degli scudi termici, anche la passeggiata spaziale dell’astronauta Cernan fu un fallimento. Incaricato di rimuovere dal suo alloggiamento l’unità di manovra, quest’ultima non volle saperne di disincastrarsi e così l’attività extraveicolare fu sospesa costringendo la missione ad un rientro anticipato. La Gemini X si concluse invece con successo. Dopo aver effettuato il docking con lo stadio Agena che a suo tempo era stato predisposto per la missione Gemini VIII, riuscirono anche a rifornirlo di propellente e ad accenderlo per 80 secondi, potendo così manovrare e modificare la propria orbita. Inoltre il previsto randezvous con un razzo Agena VIII, il cui compito era compiere esperimenti sulle meteoriti terminò positivamente e vide la capsula Gemini X fluttuare a soli 3 metri dal razzo mentre l’astronauta Michael Collins effettuava attività extraveicolari su di esso. Anche Collins, soli 3 anni più tardi da quella passeggiata spaziale, avrebbe contribuito a mettere un segno indelebile nella storia dell’umanità. Le missioni Gemini XI e XII furono del tutto simili alla precedente e caratterizzate da manovre di randez vous, docking e attività extraveicolare. Da segnalare che durante la missione Gemini XII fu effettuata la più lunga passeggiata mai avvenuta fino a quel momento: ben 5 ore e mezzo consecutive di attività portate a termine con successo dall’astronauta Edwin Aldrin, il terzo elemento di quell’equipaggio che pochi anni dopo paralizzò il mondo intero di fronte alla loro impresa. Conclusosi positivamente il programma Gemini era ormai giunto il momento di concretizzare tanti sforzi ed avviare il progetto che avrebbe consentito lo sbarco sulla Luna. Ebbe così avvio nel 1967 il programma Apollo.
Programma APOLLO
Mai inizio di un programma era stato più disastroso. Durante alcuni collaudi a terra l’Apollo 1 s’incendiò proprio all’interno della cabina mentre si trovavano a borso i 3 astronauti. Gli sventurati Grissom, White e Chaffee morirono asfissiati. Dall’inchiesta che ne seguì l’unico risultato fu attribuire l’incidente ad un banale corto circuito e sospendere temporaneamente missioni con equipaggio umano.
Le successive Apollo 2 e 3 furono infatti senza equipaggio e con la sola funzione di testare il razzo vettore e il Command Module, cioè il modulo pressurizzato dove avrebbero alloggiato i tre astronauti. Entrambe le missioni andarono a buon fine e ciò fu di stimolo per procedere con il test decisivo affidato all’Apollo 4. Per la prima volta si sarebbe visto in funzione il poderoso lanciatore appositamente progettato per portare l’uomo sulla luna: il razzo vettore Saturno V. Alto 110 metri e pesante al decollo 2913 tonnellate è a tutt’oggi uno dei vettori più potenti mai visto in astronautica. All’accensione dei motori un enorme boato e e la successiva onda d’urto fece crollare rovinosamente a terra la cabina stampa della televisione.
Gli stadi del missile si sganciarono uno dopo l’altro finché l’Apollo, staccatosi dal terzo stadio, si trovò su un orbita a 18072 metri dal suolo. Il binomio Saturno-Apollo aveva dimostrato la sua efficacia ed affidabilità. La capsula Apollo era così composta: il Command Module, di forma tronco conica, dal diametro di 3.9 metri, alto 3.2 metri e dotato di 12 piccoli razzi direzionali che consentivano le manovre di assetto; era lo spazio dove abitavano i 3 astronauti. Al di sotto c’era il Service Module, il quale conteneva serbatoi, motori di servizio, motori principali e i sistemi di generazione dell’energia elettrica e di controllo climatico dentro la navicella.
Anche le successive missioni Apollo 5 e 6 servirono per consolidare l’affidabilità dell’intero sistema e furono anch’esse senza equipaggio a bordo. L’Apollo 7 fu la prima ad ospitare finalmente degli astronauti e l’esito positivo della missione consentì alla NASA di accelerare i tempi e predisporre la successiva entro la fine dell’anno. Il 21 Dicembre 1968 vide il decollo della capsula Apollo 8, con a bordo il primo equipaggio umano che avrebbe orbitato intorno alla Luna.
L’ennesimo successo consentì di allestire per il Marzo e il Maggio del 1969 le missioni Apollo 9 e 10. Queste ultime permisero di perfezionare tutte le procedure di docking, allunaggio e rientro, al punto che Apollo 10 simulò un allunaggio sganciando il Lunar Module con a bordo gli astronauti Stanford e Cernan, i quali raggiunsero una quota di 15000 metri dal suolo lunare per poi rientrare verso il Command Module. Tutto oramai sembrava finalmente pronto per tentare lo sbarco di un equipaggio umano sul suolo lunare e la NASA annunciò che questo sarebbe stato tentato con la successiva missione denominata Apollo 11.
La missione APOLLO 11
La missione Apollo 11 doveva essere il coronamento degli sforzi compiuti (senza parlare delle vite umane perse) in tutte le missioni precedenti, sia Gemini che Apollo.
Era domenica 16 Luglio 1969 quando dalla rampa 39A del Kennedy Space Center di Cape Canaveral (Florida) un gigantesco vettore Saturno V si staccò da terra ed iniziò uno degli storici voli dell’astronautica. A bordo si trovavano gli astronauti Neil Armostrong, Edwin “Buzz” Aldrin e Michael Collins.Tutto procedette come previsto e finalmente la capsula giunse in orbita lunare. Il 20 Luglio 1969 l’Apollo si divise in due parti: il “Columbia”, composta da Command Module e Service Module con a bordo Collins, e il modulo “Eagle” alias Lunar Module, dove si trovavano Aldrin e Armstrong. Il luogo dell’atterraggio era stato scelto più per ragioni operative che scientifiche, poiché una ponderata scelta del punto di atterraggio voleva dire risparmio di carburante durante le orbite di avvicinamento e la fase di allunaggio. Per di più, cosa non trascurabile, anche i tempi di rientro e di riaggancio al Command Module erano importanti, poiché tempi più lunghi potevano comportare il rischio di dover fare poi un ammaraggio notturno in mezzo all’oceano, cosa non troppo gradita dagli stessi astronauti.
Il modulo Eagle era sprovvisto di sedili e Aldrin ed Armstrong si trovavano eretti al suo interno e legati da cinghie elastiche direttamente al pavimento. Durante la fase di discesa verso il suolo lunare i due osservarono per ben 16 minuti il panorama che li circondava finche, dopo un’accensione dei motori durata 12.5 minuti, l’Eagle accelerò la sua discesa. La successiva operazione consistette nel far ruotare l’Eagle tramite una manovra manuale in modo che quest’ultimo mostrasse la sua parte inferiore al suolo lunare, mentre un potente faro illuminava la superficie sottostante nelle ultime fasi precedenti il contatto. Mancavano oramai solo 2 minuti all’allunaggio quando Armstrong si accorse che il computer stava portanto l’Eagle direttamente verso il bordo di un cratere, cosa che poteva risultare estremamente pericolosa.
Fu cosi’ che Armstrong decise di escludere il computer e pilotare manualmente il modulo così da portarlo oltre il cratere. Avvistata un’area che sembrava essere adatta all’allunaggio, Armstrong fece posare al suolo l’Eagle all’interno del Mare della Tranquillità esclamando poi:” Houston, qui base Tranquillità, L’Aquila è atterrata.”. Da un’analisi successiva si apprese poi che erano rimasti solo 45 secondi di carburante!!
Il protocollo della missione prevedeva che i due astronauti avrebbero dovuto dormire prima di uscire per la passeggiata lunare. Ma così non fu e i due stettero per tutto il tempo in continuo contatto con Houston descrivendo minuziosamente tutto ciò che si mostrava a loro attraverso gli oblò. Dopo l’euforia fu il momento del test di tutte le strumentazioni di bordo, incluso il modulo di ascesa che sarebbe poi servito per lasciare il suolo lunare e rientrare verso la Terra. Tutto risultava operativo, quindi, tranquillizzati dalla buona salute dei sistemi, iniziarono i preparativi per l’evento più atteso: l’uscita sul suolo lunare!Erano già trascorse 6 ore e mezzo dall’allunaggio e finalmente Armstrong si accingeva ad uscire dal boccaporto. Aprì il portello e, sotto lo sguardo vigile di una telecamera, discese le scalette fino a compiere l’ultimo piccolo balzo che lo fece posare a terra, ed esclamò:” That’s one small step for man, one giant leap for mankind” (Questo è un piccolo passo per l’uomo, un balzo gigantesco per l’umanità.).
Il suolo era composto da una fine polvere e per alcuni attimi Armstrong soffrì problemi di equilibrio a causa della ridotta gravità, inconveniente però rapidamente risolto dopo un breve periodo di adattamento. Aldrin lo raggiunse dopo circa 15 minuti e passeggiarono per 2 ore e 40 minuti in quella che Buzz definì una “magnifica desolazione”.Dopo aver piantato sul suolo lunare la bandiera americana fu il momento della raccolta dei campioni del suolo e del posizionamento di un kit di attrezzature scientifiche atte a registrare dati e a trasmetterli a terra anche dopo la loro partenza. Tutte le operazione si svolsero nella regolarità più inaspettata finché i due astronauti tornarono a bordo. Le successive sette ore dovevano servire a riposarsi e dormire, ma come in precedenza, l’eccitazione e la temperatura leggermente fredda non consentirono di prendere sonno. Il 21 Luglio l’Eagle lasciò la Luna e 3 giorni più tardi ammararono nell’Oceano Pacifico insieme al compagno Collins che li aveva attesi in orbita lunare durante la loro permanenza sul suolo. Dopo tre settimane di totale quarantena necessarie per tutte le verifiche sanitarie e biofisiche post-allunaggio poterono ricongiungersi alle famiglie e gustarsi gli onori dell’impresa. Le promesse del presidente Kennedy erano state mantenute con addirittura 6 mesi di anticipo.
Alla missione Apollo 11 seguirono ben altre 6 missioni fino alla cessazione del programma che avvenne con l’Apollo 17 nel Dicembre 1972, ma ciò che seguì all’impresa di Aldrin, Armstrong e Collins appare agli occhi dei molti come un’appendice forse superflua ad un evento unico ed irripetibile. Anche se i sovietici cercarono di non fare la parte degli spettatori il loro ruolo fu in breve ridotto a quello di comprimari limitandosi ad inviare con alterno successo sonde e rover automatici sul suolo lunare. La NASA e gli Stati Uniti avevano battuto tutti i primati precedenti e la conquista della Luna e dello spazio era oramai americana.