C’è vita nell’universo?
Articolo comparso su “Naturalmente” n°1 Febbraio 1999
Autori: Nico Montigiani & Massimiliano Mannucci
Probabilmente chiunque abbia alzato lo sguardo al cielo in una notte serena e lontano dalle luci della città, sarà rimasto sorpreso dall’enorme numero di stelle presenti in cielo. Molti esseri umani, dal più remoto passato ad oggi, si saranno anche chiesti se su qualche pianeta in orbita attorno ad una delle miriadi di stelle visibili ci possa essere qualche altra forma di vita, magari intelligente. Già nel IV secolo A.C. Epicuro ed Erodoto discutevano in un loro epistolario di questa possibilità e forse nel preciso momento nel quale osserviamo quei diademi di stelle che brillando in cielo formano costellazioni che richiamano alla nostra memoria figure mitologiche come Orione o Ercole, esiste, magari a migliaia di anni luce dalla Terra, un altro essere intelligente che guardando le proprie costellazioni, si pone anch’egli la fatidica domanda: “Siamo soli nell’universo?”.
Forse quella stella gialla non troppo luminosa che lui vede in mezzo a milioni di altre stelle della sua volta celeste, e’ proprio il nostro Sole e noi siamo proprio lì, anche se praticamente invisibili.
Come si può immaginare la vastità del discorso è tale da rendersi difficile qualunque tipo di trattazione. Cercheremo quindi di circoscrivere l’ambito che abbiamo intenzione di affrontare così da focalizzare al massimo il problema che al momento più ci preme.
Tralasciando per ora il discorso sulle possibili metodologie utili a scoprire eventuali civiltà extraterrestri, riteniamo opportuno cominciare a prendere in considerazione il problema di fondo e cioè se sia possibile l’esistenza di qualche altra forma di vita nell’universo oppure se noi siamo soltanto un caso isolato frutto di una serie interminabile di circostanze fortuite.
Tale argomento è stato nel tempo tema di forti dibattiti e anche scontri ideologici in quanto tende ad attraversare trasversalmente molti ambiti, fra i quali quello sociologico, filosofico e teologico per poi arrivare anche a quello scientifico.
Quello che a noi però preme maggiormente è cercare di verificare scientificamente quali siano le reali possibilità dell’esistenza di altre forme di vita e per di più intelligenti e tecnologicamente avanzate.
Pioniere in questo tipo di analisi che mai nessuno prima di lui aveva affrontato dal punto di vista empirico e statistico è stato il radioastronomo Frank Drake.
Nell’Aprile del 1960 formulò una semplice equazione matematica la quale dovrebbe essere in grado di dirci, una volta note tutte le incognite che la compongono, il numero di civiltà extraterrestri tecnologicamente avanzate presenti nella nostra galassia.
Tale equazione era così espressa:
N = R * fp * ne * fl * fi * fc * L
Dove:
N = Numero di civiltà extraterrestri potenzialmente visibili.
R = Tasso al quale le stelle nascono nella nostra galassia, la Via Lattea.
fp = Frazione di stelle della galassia che hanno pianeti.
ne = Numero medio di possibili pianeti simili alla Terra capaci di permettere la nascita della vita.
fl = Frazione di pianeti abitabili che hanno attualmente forme di vita.
fi = Frazione di fl dove si siano potute sviluppare forme di vita intelligenti.
fc = Frazione delle fi (forme di vita intelligenti) che siano capaci di inviare o ricevere comunicazioni radio.
L = Tempo di vita medio di una civiltà tecnologica.
E’ importante far notare che questa equazione non è da intendersi in un senso strettamente matematico, ma deve servirci come un ausilio alla focalizzazione del problema generale scomponendolo in più problemi particolari.
I sette fattori che la compongono disgraziatamente sono tutti più o meno incogniti, ma se non altro hanno il grande pregio di sintetizzare in pochissimo spazio quelli che sono i punti salienti dell’argomento “la vita nell’universo”.
Cercheremo quindi di trattarli uno ad uno nel tentativo di dare uno schema il più lineare possibile di quelli che sono i nodi principali del problema, anche se forse peccheremo di riduzionismo.
“R” tasso al quale le stelle nascono nella nostra galassia, la via lattea
Questa incognita è di difficile interpretazione; infatti essa rappresenta sì il tasso di nascita di nuove stelle nella nostra galassia, ma è da intendersi come un fattore che in realtà rappresenti in qualche modo un rapporto tra le stelle (con i sistemi planetari che una loro frazione avrà), che muoiono e quelle che nascono. Senza questo parametro, alla lunga, l’equazione darebbe risultato pari a zero poiché il valore di tutte le altre incognite diminuirebbe con l’invecchiamento della popolazione stellare e con la loro inevitabile morte, portandosi poi ad un valore esattamente pari a zero nel momento stesso in cui termina il ciclo vitale dell’ultima stella dell’attuale generazione.
D’altra parte però questa è forse anche l’unica incognita che conosciamo con una adeguata precisione poiché da studi decennali siamo arrivati a stabilire che tale valore non dovrebbe essere mediamente molto diverso da 1.
Dettaglio della nebulosa dell’Aquila nella costellazione del Serpente.
Questa immagine mostra un agglomerato di gas all’interno del quale
si stanno formando nuove stelle. (Immagine HST-NASA)
“fp” frazione di stelle che hanno pianeti
Negli ultimi anni si sono fatti grandi passi avanti nello stabilire un valore plausibile di questa incognita grazie alle ultime scoperte di pianeti in orbita intorno ad alcune stelle. Alcuni gruppi di studio per la ricerca di pianeti extrasolari hanno ottenuto il risultato di trovare 10 sistemi planetari intorno a stelle simili al Sole dopo averne controllate 200. Ciò significa che se prendessimo per rappresentativo questo campione potremmo dire che circa il 5 % delle stelle simili al Sole è accompagnato da un sistema planetario, quindi fp = 0.05 .
In realtà con le nostre attuali tecnologie siamo in grado di rivelare soltanto sistemi planetari particolarmente grandi, mentre i sistemi solari simili al nostro, e in particolare i pianeti di taglia simile alla Terra, tendono ancora a sfuggire ai nostri strumenti. Quindi il valore di fp potrebbe essere molto più alto di 0.05, magari tendente ad fp = 1, il che starebbe a significare che ogni stella simile al Sole dovrebbe avere un proprio sistema planetario.
Come e’ ovvio immaginare, la stima di tali valori è estremamente fluttuante e soggetta a modificarsi nell’arco di pochissimo tempo, visto il rapido procedere di sempre nuove scoperte.
Nonostante la NASA si sia espressa con le dovute cautele, questa immagine ripresa quest’anno dall Hubble Space Telescope ci mostra con molta probabilità una stella in compagnia di un suo pianeta. Dovrebbe trattarsi di un corpo gassoso con sembianze simili a quelle di Giove ma di dimensioni probabilmente molto maggiori. (Immagine HST-NASA)
Questa immagine mostra diversi esempi di propili. Con il termine propili si va ad indicare quella particolare struttura composta da una stella completamente avviluppata da un disco di gas. Sarà proprio da questo disco di gas che con molta probabilità avranno origine diversi agglomerati che in un successivo futuro daranno vita ai pianeti. (Immagine HST-NASA)
“ne” numero medio di possibili pianeti simili alla Terra capaci di permettere la nascita della vita
Questo valore, di fondamentale importanza, è molto meno prevedibile.
Drake ipotizza ottimisticamente che in ogni sistema planetario possano esistere da un minimo di 1 a un massimo di 5 pianeti capaci di ospitare qualche forma di vita, (nel nostro Sistema Solare ad esempio sono ben 3, la Terra, Marte e la luna di Giove, Europa).
Purtroppo però, almeno rispetto ai sistemi planetari finora scoperti, il nostro costituisce più un’eccezione che una regola. Infatti, oltre ad avere dei pianeti alla distanza “giusta” dal Sole, essi risiedono su orbite quasi circolari. Tale peculiarità fa sì che non ci siano sconvolgimenti climatici durante le loro orbite. Quindi il valore di ne potrebbe ragionevolmente essere di poco minore a 1.
A questo punto è importante precisare che tutte le stime qui riportate sono sistematicamente ricondotte ad un modello di sistema solare e di sviluppo della vita estremamente simile al nostro.
Fattore importantissimo in questo tipo di analisi è il concetto stesso di vita.
A tal proposito esistono due diverse linee di pensiero. La prima, definita come “versione debole”, parte dalla convinzione che fisica e chimica agiscono in modo tale che, date le giuste condizioni, la materia si evolve lungo percorsi che portano inevitabilmente a sistemi di sempre maggiore complessità organizzativa. Quando la complessità supera una certa soglia, il sistema si può considerare vivente. Di conseguenza la vita può evolversi in un’ampia gamma di ambienti, anche estremamente diversi da quelli esistenti sulla Terra. L’altra linea di pensiero invece, detta “versione forte”, tende ad incanalare fortemente l’evoluzione della vita lungo la direzione dello sviluppo delle proteine e del DNA, con la conseguenza di avere forme di vita con la stessa base chimica, e quindi richiedenti più o meno le stesse condizioni fisiche e chimiche dell’ambiente.
La formula di Drake, per ovvi motivi di semplificazione e schematizzazione, si rifà completamente alla versione forte, con la conseguenza che, per supporre forme di vita più o meno simili alla nostra, si deve anche supporre un pianeta con condizioni ambientali non troppo discosti dal nostro.
Terra, Marte ed Europa, gli oggetti del nostro Sistema Solare che con maggiori probabilità hanno ospitato od ospiteranno forme elementari di vita, ad eccezion fatta ovviamente della Terra, che come ben sappiamo già ne ospita. (Immagine JPL-NASA)
“fl” frazione di pianeti abitabili che hanno attualmente forme di vita
Questa incognita potrebbe ragionevolmente essere prossima al valore 1. Questo perché gli scienziati si sono accorti che i “mattoni” della vita, aminoacidi e complessi organici, sono presenti in maniera molto abbondante nell’universo. Sono stati infatti scoperti nei meteoriti, nelle comete, nelle polveri e nei gas interstellari. Tenuto conto di questo, e del fatto che sulla Terra sono stati necessari solo pochi attimi (geologicamente parlando) perché si sviluppassero le prime forme di vita, possiamo essere portati a ritenere la nascita di forme di vita su pianeti adatti un fenomeno molto probabile, quindi potremmo considerare fl = 1.
Anche in questo caso sono opportune alcune precisazioni. Il principio di Copernico ci dice che la Terra e tutto il nostro sistema solare non godono di nessuna condizione di favore all’interno della nostra galassia e, più in generale, nelle dinamiche dell’intero universo. Partendo da questa constatazione, l’assunto che ne deriva è che tutti i fenomeni ai quali assistiamo, fra cui la stesso sviluppo della vita, sono processi naturali altamente probabili. Date le condizioni opportune, gli organismi viventi si formerebbero spontaneamente in un lasso di tempo geologicamente ragionevole (milioni o miliardi di anni). E’ anche vero però che se siamo stati capaci di sintetizzare in laboratorio le condizioni della Terra primordiale fino ad ottenere la sintesi di aminoacidi e proteine (i mattoni della vita) è anche vero che tra il primo aminoacido formatosi sulla Terra ed il primo batterio, esiste un lasso di tempo di circa 500 milioni di anni all’interno del quale si sono verificati processi e fenomeni che hanno permesso ad un composto chimico complesso di evolversi fino al punto di dare origine ad una forma di vita, processi però che ignoriamo del tutto.
E’ all’interno di questa lacuna che esiste lo spazio per lo sviluppo di un’altra linea di pensiero molto divergente da quella dell’evento naturale altamente probabile, e che invece predilige l’ipotesi dell’evento naturale ma unico.
Il fatto che la vita si fosse originata grazie ad una combinazione casuale di molecole è stato paragonato da Fred Hoyle alla possibilità che una tromba d’aria che attraversi una fabbrica di aeroplani riesca a mettere insieme una serie di componenti sparsi e a costruire un Boeing 747 funzionante. E’ però anche innegabile che in un universo infinito e uniforme tutto quello che può succedere succederà, e succederà un numero infinito di volte. Ma è anche vero che noi abbiamo un orizzonte finito dello spazio, e quindi ne deriva che nel “nostro“ spazio non esistono altre forme di vita oltre a quelle presenti sulla Terra.
Da questa breve disamina appare ovvio che Drake ha sposato a pieno la tesi dell’evento naturale altamente probabile, ma come abbiamo potuto vedere il valore di fl potrebbe essere anche di zero se sposassimo l’altra tesi, con la conseguenza che potremmo interrompere fin da questo punto qualunque altra trattazione.
“fi” frazione di fl dove si siano potute sviluppare forme di vita intelligenti
Il valore di questa incognita è del tutto sconosciuto poiché esso potrebbe variare di molto a partire da assunzioni di base differenti. Purtroppo il grande problema risiede nel fatto che non abbiamo la minima idea di quali siano le assunzioni corrette. Su alcuni punti però c’è un certo accordo fra gli studiosi. Sembra ormai certo che per potersi sviluppare una forma di vita intelligente sono necessari molti milioni di anni, quindi gli eventuali pianeti dovrebbero avere avuto una storia geologica e climatica piuttosto regolare senza grandi sconvolgimenti per tale lasso di tempo. Un fenomeno catastrofico potrebbe infatti far regredire l’evoluzione di milioni di anni. D’altra parte però, sembra che se sulla Terra non ci fosse stata l’estinzione dei dinosauri forse l’uomo non sarebbe mai riuscito ad evolversi fino al punto in cui è giunto oggi. La conoscenza di fi presuppone la conoscenza di una moltitudine di fenomeni che possono far tendere fi ad un valore prossimo allo 0 oppure, se prendiamo per valido il cosiddetto principio copernicano secondo il quale il genere umano non si trova in posto privilegiato dello spazio e del tempo, fi potrebbe addirittura tendere a 1. C’è chi afferma che la Terra si sia trovata in una situazione in qualche modo privilegiata poiché essa non è stata ripetutamente sconvolta da catastrofici impatti con asteroidi grazie alla presenza di pianeti giganti come Giove e Saturno nel proprio sistema planetario. Questi avrebbero avuto la fondamentale funzione di “spazzini” ripulendo i dintorni del Sole dalla maggior parte di quei corpi celesti vaganti che sarebbero potuti cadere sulla Terra cancellando ogni forma di vita. Le scoperte più recenti relative a sistemi planetari intorno ad altre stelle e lo sviluppo di sempre più sofisticati modelli di evoluzione stellare però, fanno protendere sempre di più verso l’ipotesi che lo svilupparsi di pianeti giganti come Giove e Saturno possa essere un evento piuttosto comune, facendo così cadere la tesi che vedeva la Terra privilegiata in quanto protetta da quest’ultimi.
Eccoci quindi di fronte dell’ennesima dimostrazione di come qualunque genere di stima sia estremamente soggetta a repentine modifiche, sia a causa delle sempre nuove scoperte, sia anche all’approccio che si decide di praticare.
“fc” frazione delle fi (forme di vita intelligenti) che siano capaci di inviare o ricevere comunicazioni radio
Supponendo che esistano forme di vita intelligenti, questa incognita rappresenta la probabilità che queste abbiano raggiunto un livello tecnologico tale da permettere le comunicazioni radio. Ci si interroga però se effettivamente la conoscenza delle onde radio come sistema di comunicazione sia effettivamente una tappa inevitabile nell’evoluzione di una società tecnologicamente avanzata. Purtroppo questa semplice considerazione rende una stima del valore di fc attualmente impossibile.
Addirittura le trasmissioni radio, che noi reputiamo le più efficienti, potrebbero essere obsolete per qualche civiltà molto più avanzata di noi.
Il radiotelescopio di Green Banks. Prima del suo improvviso crollo avvenuto nel 1987 a causa di un cedimento strutturale, era uno dei piu grossi radiotelescopi esistenti. E’ proprio con strumenti come questo che è possibile scrutare le profondità del cielo alla ricerca di segnali radio di ogni natura, anche artificiale.
Radiotelescopio di Arecibo Puerto Rico. Si tratta del più grande radiotelescopio esistente ed è tutt’ora impegnato in attività di ricerca di segnali extraterrestri. Ha un diametro di 305 metri ed è stato costruito all’interno di una conca naturale nel 1963.
“L” tempo di vita medio di una civiltà tecnologica
Il fattore L, come gli altri due fattori fi e fc, è completamente indeterminato poiché non possiamo prevedere la durata di una civiltà tecnologicamente avanzata. Gli ottimisti pensano che il valore di L possa aggirarsi attorno a qualche milione di anni o addirittura qualche miliardo, mentre i pessimisti fanno notare che il genere umano, unico esempio che abbiamo a disposizione, è stato sull’orlo dell’autodistruzione e forse lo è ancora a causa delle armi nucleari e dell’inquinamento.
Come possiamo quindi vedere, il valore di N non è affatto semplice da stimare. Nel caso in cui tutti i valori di R , fp , ne , fl , fi , fc siano prossimi a 1, N tende ad essere uguale a L, quindi più a lungo una civiltà tecnologica riesce a sopravvivere, tante più civiltà saranno presenti contemporaneamente nella galassia. Il supporre però tutti i valori enunciati prima come prossimi a 1 vorrebbe dire avere un approccio eccessivamente ottimistico all’argomento. D’altra parte resta praticamente impossibile determinare quanto tali valori siano inferiori a 1. Apparentemente quindi la formula di Drake sembra essere uno sterile esercizio speculativo, ma in realtà essa è stata storicamente importante in quanto punto di partenza per uno studio serio del problema e forse proprio questo è il suo maggior pregio.
Citando le parole di Isaac Asimov, “…non indugiamo davanti al compito vero che ci aspetta: sopravvivere, apprendere, espanderci, entrare in un nuovo livello di conoscenza. Facciamo del nostro meglio per ereditare l’universo che ci aspetta; da soli, se sarà necessario, o insieme ad altri se ci sono.”
La probabilità di entrare in contatto con una civiltà intelligente è forse infinitesima, ma come hanno detto i fisici Giuseppe Cocconi e Philip Morrison, gli ispiratori del progetto SETI (Search for Extra Terrestrial Intelligence) in un loro articolo del 1959 su Nature: “ Le probabilità di successo sono difficili da stimare, ma se noi non cerchiamo, la possibilità di successo è pari a zero ! ”
Per approfondimenti consigliamo i seguenti testi:
- Isaac Asimov, Civiltà Extraterrestri, Mondadori, Milano 1979
- Piero Angela, Nel cosmo alla ricerca della vita, Garzanti, Milano 1980
- P.C.W. Davies, Siamo soli?, Editori Laterza, Bari 1994
- Jean Heidmann, La vita nell’universo, Mondadori, Milano 1996